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Valentina Bramanti
Responsabile Strategia e Reporting
valentina.bramanti@altisadvisory.com

Il tessile: una sfida centrale per la sostenibilità

La sfida della sostenibilità nel settore tessile è particolarmente affascinante, sia per la complessità della filiera sia per la portata dei suoi impatti. Considerando l’intera catena del valore – dall’agricoltura e dall’estrazione delle materie prime per la produzione dei filati, ai processi industriali, fino al consumo da parte degli utilizzatori finali e allo smaltimento dei rifiuti tessili – il comparto è chiamato a rispondere a pressioni forti sotto il profilo ambientale e sociale. Per dare un’idea complessiva degli impatti, nell’Unione Europea il consumo di prodotti tessili rappresenta il quarto maggiore fattore di impatto negativo sul cambiamento climatico e il terzo in termini di utilizzo di acqua e suolo lungo l’intero ciclo di vita.

Ma il tessile non è semplicemente fonte di impatti ambientali, il settore rappresenta, infatti, una preziosa risorsa economica e occupazionale. Nell’UE si contano circa 197.000 imprese, in gran parte piccole e medie, che generano un fatturato complessivo di 170 miliardi di euro (dati 2023) e offrono lavoro a oltre 1,3 milioni di persone . È dunque un comparto che contribuisce in modo significativo alla ricchezza europea e alla coesione sociale, rendendo ancora più urgente una transizione sostenibile “giusta”, rispettosa dell’ambiente ma anche dei diritti dei lavoratori e che al contempo salvaguardi la competitività dell’industria.

Impatto ambientale e sociale lungo la catena del valore

La filiera tessile presenta dunque sfide ambientali e sociali rilevanti lungo tutta la catena del valore. Le fibre tessili presentano profili di sostenibilità molto differenti a seconda che si considerino quelle di origine naturale o di origine sintetica. Quello che è certo è che non esiste una fibra a impatto zero. Le fibre di origine naturale, come il cotone, possono avere un’impronta climatica più contenuta rispetto a quelle sintetiche, ma sono associate a un elevato consumo idrico e a impatti significativi sul suolo. Al contrario, le fibre sintetiche come il poliestere—che nel 2023 hanno rappresentato il 57% della produzione globale, contro il 20% del cotone—generano emissioni climalteranti superiori (+6,7%) , ma richiedono meno acqua e un minor consumo di suolo nel processo produttivo con un minore impatto sulla biodiversità.
Nella fase di trasformazione industriale, il settore si confronta con diversi impatti ambientali. L’utilizzo di sostanze chimiche per la tintura, il finissaggio e altri trattamenti dei tessuti rappresenta una delle principali criticità. A ciò si aggiunge il rilascio di microplastiche da parte delle fibre sintetiche, che può avvenire sia nelle fasi industriali di lavorazione, sia durante i lavaggi domestici. Queste particelle, una volta disperse nell’ambiente, possono contaminare gli ecosistemi acquatici, con effetti dannosi per la fauna marina e potenziali ripercussioni lungo la catena alimentare.
Anche la gestione dei rifiuti rappresenta un nodo cruciale per il settore. La limitata diffusione del riciclo—solo il 7,7% della produzione mondiale—è aggravata dalla presenza di tessuti “blend”, composti da fibre diverse e quindi difficili da separare in fase di recupero. Nel 2022, ogni cittadino dell’UE ha generato in media circa 16 kg di rifiuti tessili, ma solo il 15% è stato raccolto separatamente, mentre l’85% è stato destinato all’indifferenziata, all’incenerimento o alla discarica. L’82% di questi rifiuti proviene direttamente dai consumatori, mentre la parte restante deriva da scarti produttivi o capi invenduti.

Altrettanto sfidanti sono le problematiche sociali che riguardano il settore e che includono il lavoro minorile, la carenza di adeguate condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, salari insufficienti rispetto al costo della vita, orari di lavoro eccessivi e contratti precari. Nonostante il tessile impieghi circa 75 milioni di persone a livello globale —di cui il 75 % donne—solo 1,5 milioni di lavoratori, meno del 2 %, percepiscono salari adeguati e dispongono di contratti formali con tutele reali, orari stabili e protezioni in linea con i diritti sul lavoro .

La normativa europea per una transizione sostenibile del settore

Per rispondere alle numerose sfide ambientali e sociali che caratterizzano la filiera tessile, l’Unione Europea ha definito un quadro normativo articolato con l’obiettivo di orientare il settore verso modelli più sostenibili e responsabili. Al centro di questo processo si colloca la Strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari, che identifica sei ambiti prioritari d’intervento: progettazione ecocompatibile, divieto di distruzione dei prodotti invenduti, passaporto digitale dei prodotti, contrasto all’inquinamento da microplastiche, trasparenza nella comunicazione ambientale e responsabilità estesa del produttore.
Alcuni di questi temi sono stati recepiti e sviluppati nel Regolamento Ecodesign (ESPR), che definisce i requisiti di progettazione ecocompatibile per i prodotti tessili, tra cui durabilità, riutilizzabilità, riparabilità e riciclabilità, con l’obiettivo di estendere la vita utile dei capi e facilitarne il riciclo. Lo stesso regolamento introduce l’obbligo di trasparenza sulla distruzione dei prodotti invenduti e prevede, a partire da luglio 2026, il divieto esplicito di distruzione per una serie di categorie merceologiche, salvo specifiche deroghe. Il testo disciplina anche il passaporto digitale dei prodotti, uno strumento innovativo che raccoglie informazioni complete e tracciabili su origine, composizione, modalità d’uso e smaltimento dei capi, favorendo così pratiche più circolari e trasparenti.
Il tema del rilascio di microplastiche è affrontato attraverso il Regolamento REACH, aggiornato con il Regolamento (UE) 2023/2055, che definisce in modo dettagliato le caratteristiche dimensionali delle particelle e stabilisce restrizioni e obblighi per ridurne la dispersione nell’ambiente. Sul fronte della comunicazione ambientale, la Direttiva (UE) 2024/825 impone alle imprese l’obbligo di fornire informazioni affidabili, pertinenti e verificabili, vietando dichiarazioni ingannevoli e richiedendo che ogni affermazione di sostenibilità sia supportata da evidenze oggettive e validabili. L’ulteriore rafforzamento previsto con la proposta di Regolamento “Green Claims” è attualmente sospeso, ma resta al centro del dibattito legislativo europeo.
Un altro pilastro della strategia è l’introduzione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) per il settore tessile, con un accordo provvisorio raggiunto nel febbraio 2025 che prevede l’applicazione di tariffe modulabili in base al grado di sostenibilità e circolarità del prodotto. Le risorse raccolte finanzieranno la raccolta differenziata e la gestione dei rifiuti tessili, contribuendo anche a contrastare il fenomeno del fast fashion e lo smaltimento precoce dei capi ancora utilizzabili.
Sul fronte della tutela dei diritti umani, è stato adottato nell’aprile 2024 il Regolamento UE sul lavoro forzato, che vieta la vendita, l’importazione e l’esportazione nel mercato unico di beni realizzati in condizioni di coercizione. Le autorità nazionali e la Commissione Europea potranno avviare indagini, bloccare prodotti sospetti e imporre sanzioni significative alle imprese inadempienti. In parallelo, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) introdurrà gradualmente l’obbligo per le aziende di identificare, prevenire e mitigare i rischi ambientali e sociali lungo le proprie catene di fornitura, con un approccio strutturato alla due diligence sui diritti umani e sull’ambiente.

Le priorità per le imprese: circolarità, etica e trasparenza

Per accompagnare il settore tessile lungo un percorso di reale transizione sostenibile, le imprese sono chiamate ad agire in modo strutturato su due ambiti prioritari. Sul fronte ambientale, la sfida centrale è rappresentata dall’economia circolare, da intendersi come ripensamento dell’intero ciclo di vita del prodotto. È necessario intervenire fin dalla fase di progettazione, adottando criteri di eco-design che favoriscano la durabilità, la riparabilità e la riciclabilità dei capi. Altrettanto importante è l’ottimizzazione delle risorse nei processi produttivi e, soprattutto, la creazione di un sistema efficiente per il riciclo e il riutilizzo dei materiali post-consumo. In questa direzione si stanno muovendo diverse iniziative, anche in Italia, sostenute dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: tra queste, il textile hub di Prato e la nascita di consorzi per la raccolta e la valorizzazione dei rifiuti tessili, che collaborano con università e centri di ricerca per sviluppare soluzioni tecnologiche e di tracciabilità sempre più avanzate.
Sul piano sociale, l’azione prioritaria riguarda il rafforzamento del controllo lungo la catena di fornitura. In questo contesto, strumenti come gli audit in loco e le certificazioni sociali assumono un ruolo cruciale. Tra queste, la SA8000 è tra le più riconosciute per la tutela dei diritti dei lavoratori, in quanto impone standard rigorosi su orari, salari, sicurezza, libertà di associazione e lavoro minorile. Altre certificazioni rilevanti includono la WRAP (Worldwide Responsible Accredited Production), la Fair Wear Foundation, e la Fairtrade Textile Standard, ognuna con un diverso focus sul miglioramento delle condizioni sociali nel comparto. Tuttavia, le certificazioni non possono da sole garantire il rispetto sistemico dei diritti umani: è necessario affiancarle con iniziative di formazione, sensibilizzazione e coinvolgimento attivo dei lavoratori, affinché siano consapevoli dei propri diritti e possano segnalarne eventuali violazioni. Allo stesso tempo, le aziende devono rafforzare le attività di due diligence, prevedendo meccanismi di mappatura e tracciabilità della supply chain, strumenti di monitoraggio continuativo, e relazioni di partnership di lungo periodo con i fornitori, in grado di creare fiducia e favorire un miglioramento progressivo delle condizioni di lavoro.

La tracciabilità e le certificazioni rappresentano leve fondamentali non solo per rafforzare il controllo lungo la filiera, ma anche per responsabilizzare il consumatore, mettendolo nella condizione di compiere scelte più consapevoli ed etiche. Sebbene il dibattito pubblico si concentri spesso sull’impatto negativo del fast fashion, è evidente che nemmeno l’acquisto di un capo di fascia alta garantisce automaticamente il rispetto dei diritti umani lungo la catena produttiva, come dimostrano i recenti scandali che hanno coinvolto anche marchi del lusso. Per questo motivo, il tema della dimostrabilità della sostenibilità riguarda oggi tutte le imprese del settore e richiede investimenti concreti in sistemi di gestione del rischio, attività di monitoraggio strutturato e in partiche di marketing e comunicazione trasparente nei confronti dei consumatori.

Le sfide da affrontare sono complesse e interconnesse, e nessuna impresa, per quanto solida, può affrontarle in autonomia. Per questo è necessario un impegno congiunto, che coniughi innovazione tecnologica, sviluppo di nuovi modelli di business e collaborazione tra tutti gli attori dell’ecosistema: imprese, istituzioni pubbliche, centri di ricerca e cittadini. Solo attraverso un’azione collettiva sarà possibile guidare il settore tessile verso una transizione realmente sostenibile.

Approfondimento: vuoi saperne di più sulle sfide del settore tessile in Italia?

Leggi il Report di ricerca: “Dress Code Sostenibilità – I driver del cambiamento del tessile italiano”

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